16/11/11

La banalità de "Il Male".

A metà Novembre 2011 (circa 2400 anni dopo Aristofane), la satira in Italia si è evoluta fino a partorire questa roba qui:
"Finalmente un sano e bel gioco di parole che richiami Passera e figa. Come ho fatto a non pensarci?
Oh cazzo! Ci avevo pensato pure io!!!
È stata questione di un attimo. Avessi pubblicato la vignetta 20 secondi prima... magari! Cazzo che occasione che mi sono perso!
Vabbe' non è il caso di demoralizzarsi. Ho avuto la sua stessa idea.
Quindi anche io sono bravo come Vauro. Ho un futuro.
Magari un giorno o l'altro potrei trovarmi nei suoi panni.
Dirigere una rivista satirica, che figata! Con tanti bei giochetti di parole. Ne ho in mente uno su Bocchino ma non ve lo voglio svelare perché altrimenti magari me lo copiate.
Leggere anche io le mie vignette da Santoro! Sarebbe un sogno...
Oppure essere pubblicato per anni dal Corriere. Sarebbe figo, no?"

Questo è il pensiero che, legittimamente, potrebbe venire in mente a chiunque capiti in mano una vignetta del genere pubblicata da chi da 40 anni fa satira. E potrebbe pensare di potercela fare.
"Perché lui sì e io no?".
Vauro, per essere chiaro, ha pubblicato anche tanta roba molto valida nella sua carriera e negarlo sarebbe idiota.
Ma chiunque abbia un briciolo di senso critico troverà questa vignetta imbarazzante. Per lui che l'ha fatta e per la gente cui la propone.
Ogni volta che un artista produce qualcosa lo fa per un pubblico (anche se alcuni cantanti con le mestruazioni dicono che non è vero... E' COSI'). E quando mi metto a scrivere io stesso penso "magari a qualcuno può interessare ciò che ho da dire" e, allora, dico.
Ma non dico la prima cosa che mi viene in mente, ci ragiono un minimo su.
Cerco di dare una lettura su un fatto che la gente possa trovare giusta o sbagliata (non importa) ma che, quanto meno, la inciti un minimo a pensare.
Leggere i titoli di Repubblica e scrivere freddure in tempo reale è offensivo verso il lettore in primis e verso l'arte in secondo luogo.
La vedo così: se leggo una cosa banale o stupida non penso "be' è una cosa banale e stupida" ma penso che il proponente ritiene che quella cosa sia il massimo che lui possa offrire (postilla: a gente come me).
Quindi i casi sono 2.
O la persona non è in grado di fare meglio e lo incito a lasciar perdere;
Oppure la persona ritiene che il suo pubblico sia composto da mentecatti che tanto oltre quel giochino di parole o quella puttanata pressapoco non possono andare.
Faccio un esempio concreto.
Ho letto in giro questa battuta:
Ricercatore bocconiano indagato per truffa stile Madoff. Sospeso dall'università per essersi fatto scoprire.
Facevo notare che la "truffa stile Madoff" ha un nome preciso, si chiama "Schema di Ponzi".
Mi si faceva allora notare che quello è un tecnicismo che oscura il senso della battuta a gran parte della popolazione.
Bene.
Da queste cose si valuta "a chi crede di parlare" un artista. E le vie sono 2 e non c'è scampo.
1- Si pubblica la pappetta pronta perché pure la "casalinga di Voghera" mentre fa il sugo possa ridere di gusto senza sapere di preciso manco come si chiami.

2- Si punta a stimolare il lettore affinché raffini il proprio gusto.

Uno si rivolge ad un pubblico ritenendolo un bambino scemo incapace di comprendere e di evolversi, l'altro si rivolge ad un pubblico adulto.
Non c'è nulla di male in nessuno dei due.
Ma se uno mi si offre di masticarmi il cibo perché non mi vada di traverso, io posso fargli notare che sono già cresciuto.
E, se questo persevera a chiedere, ho il sacrosanto diritto di mandarlo a fanculo.

Il caso ha voluto che la satira sia stato, per 2400 anni, un genere adulto che non fa pressapochismi beceri per far ridere il beota. Serve precisione. La mano da chirurgo, non il tatto di un porcaro che lavora sull'Aurelia.

Sempre il caso ha voluto che l'avanspettacolo sia stato, da quando è nato, un genere fatto per distrarre la gente e farla ridere e sentire sicura. "Oddio, quello si chiama Passera. AHUAUHHUAUHAUHAHUAHUA". E il riso abbonda sulla bocca...

Ora finisco di fare la vignetta su Bocchino.
A poi.


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